L’idea e la sua realizzazione. Nella mia vita di ricamatrice c’è una lunga fase di formazione, una sorta di preistoria; e poi si dispiega lunga lunga la mia storia vera e propria, legata inizialmente all’attività del Laboratorio artigianale, poi alla Scuola e alle edizioni e riedizioni dei miei manuali sul ricamo a mano.
La ‘preistoria’ è caratterizzata da numerosi desideri e da qualche sogno, che si concretizza sempre di più nell’idea, maturata negli anni, di aprire un Laboratorio artigianale (una ‘bottega’) in centro a Verona.
Nel 1989 i figli sono grandi; stanno frequentando gli ultimi anni del liceo. Ci ritrasferiamo finalmente a Verona, da un paese limitrofo dove abbiamo abitato per una quindicina di anni. Non devo più prendere autobus, perdere ore e ore per accompagnare i figli in città… la bicicletta e le camminate a piedi bastano e avanzano, per muoversi in città.
Vorrei rilavorare e scopro … di essere vecchia. Un giorno sul giornale locale vedo un annuncio: si organizza un corso di ‘orientamento lavoro’ per donne che desiderano rilavorare, appunto. Non ci penso troppo: vado per un colloquio; ne ricavo un’impressione positiva; mi iscrivo e torno … a scuola, perché il programma del corso propone di fare un’indagine personale sui propri interessi e capacità, in modo da elaborare, via via, un progetto di lavoro per sé: un progetto praticabile, realistico. Per mesi partecipo con entusiasmo alle proposte che ci vengono fatte, assieme alle altre donne che frequentano il corso. Scopro così quello che amo di più fare e i lati positivi della mia persona, del mio carattere. Risulta, alla fine, che posso aprire un ristorante (progetto bellissimo, ma per me impraticabile, allora) o fare l’artigiana ricamatrice. Da mesi, prima ancora di trasferirmi con la famiglia in città, frequentavo la bottega artigiana di mio fratello, restauratore di mobili, e quella di un’amica, restauratrice di ceramica antica, ai quali davo una mano quando ne avevano bisogno. Nel palazzo dove aveva il suo laboratorio questa amica la padrona di casa si trova, a un certo punto, ad avere una stanza libera, che può affittare. Allora parto, senza dubbi, anzi con l’entusiasmo che aveva contagiato anche i miei famigliari. Avevo da parte poco più di un milione di lire di miei risparmi: li ho spesi tutti per la meravigliosa carta da parati Sanderson che ho messo alle pareti (con fiori di caprifoglio, un rampicante che amo da sempre), la pulizia delle travi a vista del legno vecchissimo che formavano il ‘tetto’ del locale, e la grande porta a vetri, verso la strada.
Una stanza con la porta a vetri, appunto; grande quanto basta perché sia anche una vetrina per esporre i miei lavori, e per dire, a quelli che si fossero fermati a guardare, io sono così, questo è il mio gusto, e la vetrina mostra le mie conoscenze e la mia personalità.
Cominciavo a passare le giornate lì dentro, a sistemare tessuti e filati, a organizzare gli spazi, a procurarmi i mobili (o da casa o da mio fratello) per lavorare. Si fermavano già delle persone; alcune entravano e avevano parole simpatiche, di incoraggiamento o di vera e propria meraviglia. Qualcuna aiutava, anche. I miei ricami parlavano con me. Mi arrivarono anche le prime commissioni; una merceria importante mi ha addirittura chiesto di fare corsi di ricamo: ho cominciato a insegnare così, quasi per caso.
1b. i primi anni: il laboratorio si avvia bene e funziona. Confezionavo biancheria ricamata per la casa; cominciavo a incontrare delle signore – giovani e anche no – che desideravano imparare a creare qualcosa per sé e per la casa, e pure a ricamare. Ho dato vita a corsi ricamo, di patchwork, e così via… Attraverso le numerose e varie attività di quei primi anni andavo accumulando esperienze e conoscenze che costituivano per me un arricchimento importante e mi permettevano di accrescere il patrimonio di realizzazioni mie e di tutte le persone che lavoravano con me. Naturalmente era vivo il desiderio di affiancare alla pratica del ricamo anche quella, fondamentale, di studiare, di conoscere i testi e i modelli importanti del passato, di rintracciare opere di ricamo nei libri, nei musei, nelle collezioni. Sono riuscita così a viaggiare, come dico nell’introduzione al mio vol. 7 (Lenzuola, sampler a punto antico), e a cercare pubblicazioni storiche di modelli del passato, che formano la mia biblioteca, indispensabile per mettere a fuoco idee, motivi, progetti di lavoro.
Ricordo che ho molto imparato dal restauro di ricami antichi: se non sapevo qualcosa disfacevo un pezzo di ricamo per vedere come era fatto e lo rifacevo, apprendendo sempre meglio tecniche e accorgimenti.
Un giorno entra una signora riservata e dolce, e mi chiede se posso fare una cuffia a una sua bambola antica. Non mi pareva vero: alla signora è piaciuta molto la cuffia e per lei negli anni successivi ho restaurato circa 1500 bambole antiche sue, spesso sfasciate, che ho ricomposte e vestite di tutto punto, seguendo i suggerimenti storici che ricavavo dai prontuari e dai cataloghi più autorevoli. Ci ho messo tanta pazienza, in tutto questo, sostenuta da un entusiasmo che non è mai venuto meno.
Qualcuno mi chiedeva: perché anche il patchwork? Io amo molto, da sempre, lavorare con i tessuti e i colori; raccolgo e conservo i ritagli che rimangono dalle lavorazioni, ne faccio uso per composizioni private o per insegnare a qualcuno a progettare e a realizzare una coperta, un pannello, o altro; cerco tessuti antichi, quando capita, anche se si tratta di piccoli scampoli o di ‘avanzi’.
È un esercizio importante, per chi vuole ricamare, conoscere i tessuti, saperli scegliere, abbinare, ai tipi di ricamo da fare, il tessuto che risulta più indicato e i filati più funzionali.
A me pare che questa attitudine, questa passione, debba essere tenuta viva dalla persona che vuole ricamare, se vuole impare bene e mettersi sempre in gioco. Molte mie allieve hanno apprezzato per questo la scuola di patchwork (che ho fatto in prevalenza ‘a mano’) non solo appassionandosi, per esempio, al crazy patchwork (sì, quello della regina Vittoria, per intenderci, e delle dame vittoriane), ma almeno come modalità per entrare più da vicino nel mondo della creatività, come esperienza di base per acquisire conoscenze che permettessero loro di saper fare le scelte opportune, anche in fatto di colore.
A proposito: noto spesso che il colore, soprattutto nel ricamo, può essere un ostacolo molto forte per procedere e progettare: qualcuno ha quasi paura di usarlo, e quindi … i ricami per quella persona dovrebbero essere sempre e solo ‘in bianco’.
Della lunga e bella esperienza con il patchwork restano alcuni documenti che mi sono particolarmente cari: in particolare una coperta di 2 m x 2, che ho progettato e realizzato con sete antiche (e che ha anche fatto un mezzo giro del mondo con Quilt-Italia) dai colori tenui, simili a pastelli; e alcuni pannelli, in forma di ‘quadro’, che ho composto per raffigurare situazioni e paesaggi che amo da sempre.
4 Giugno 2014