10. Dürer e le simmetrie

Ho ammirato in TV un bel filmato di Art’è, piuttosto recente (del 2022 credo), su Dürer (1471-1528), magnifico. E tra i quadri e le incisioni, mi ha colpito in particolare questo dipinto strepitoso, si potrebbe dire ‘belliniano’, fatto per la chiesa di S. Bartolomeo, a Venezia, la chiesa dei tedeschi.

In occasione di una importante Mostra a Milano, nel 2018, sui rapporti tra Dürer i il Rinascimento italiano, Giusy Baffi ha scritto questo: “Durante il suo  lungo soggiorno a Venezia, Dürer venne in contatto anche con Mantegna e Luca Pacioli [il francescano famosissimo matematico, studioso anche della  prospettiva]. L’influenza che la scuola veneziana ebbe sulla pittura di Dürer è palese nel dipinto Festa del rosario della pala d’altare per la chiesa di San  Bartolomeo, chiesa situata di fronte al Fondaco dei Tedeschi a Venezia [zona Rialto], dove sono evidenti sia la composizione piramidale con al vertice il  trono di Maria, che lo splendore cromatico tipico della pittura veneziana del periodo. All’inaugurazione della pala nella chiesa di San Bartolomeo, al  cospetto del Doge, lo stesso Luca Pacioli terrà una Lectio magistralis, una lezione magistrale alla presenza di 500 persone.”

Purtroppo la storia del dipinto non è delle più tranquille:

“Dopo aver soggiornato a Venezia per ben cento anni, il dipinto fu acquistato dall’imperatore asburgico Rodolfo II nel 1606 e portato a Praga. Negli anni successivi, a causa della dissoluzione delle figure, delle condizioni in cui il dipinto è stato conservato e dei brutali restauri che ha subito, è rimasto  nell’ombra, come era in passato”, dice la scheda. E in precedenza precisava: “L’opera fu commissionata da mercanti tedeschi per decorare la chiesa di San Bartolomeo. Seduta davanti a un baldacchino di legno sorretto da angeli, Maria indossa la corona del futuro imperatore Massimiliano I, mentre a sinistra si ripete una scena simile tra il Bambino Gesù e il papa. In fondo a destra Dürer, che si è incluso nel quadro, guarda lo spettatore. Il foglio che tiene in mano recita Albrecht Dürer un tedesco fece questo in 5 mesi, 1506.
Oggi la Festa del Rosario (Rosenkranzfest), un olio su tavola (162×194,5 cm) , è conservata nella Národní Galerie di Praga.
Che abbia impressionato anche Giovanni Bellini, il grande veneziano di quarant’anni più vecchio e stimato da Dürer (e viceversa), con cui si frequentavano, era il minimo che potesse succedere all’artista di Norimberga, rimasto a Venezia per un paio d’anni, in quel periodo, proprio per attingere idee e stilemi dai grandi di Venezia, in primis proprio il Giovanni Bellini (che nel 1505 aveva concluso la spettacolosa Conversazione nella Pala di S. Zaccaria); ed è un grande peccato che l’opera non sia ancora da noi, accanto, si può dire, ad altre più o meno coeve dei maestri veneziani che avevano attratto Dürer in laguna. Farebbe un bel vedere, ben oltre la sua specifica importanza, se messa a confronto con i dipinti veneziani di quel tempo.
Più vedo opere di un artista come Dürer (e di altri, mica solo le sue) più mi viene da riflettere su alcuni temi legati all’arte e ai suoi modelli. O meglio: ai modi con i quali un artista (di qualsiasi ‘arte’ si tratti) si muove all’interno delle sue fantasie, dei temi che sceglie, dei modi con i quali imposta, crea e  sviluppa le sue opere; muove e realizza la sua sintassi, si può dire, costruendo in progressione la struttura delle sue opere. Soprattutto se questi suoi ‘movimenti’ (la sua semantica? la sua poetica? mah, non si usa più tanto…) sono poco immediati da riconoscere, individuare, inseguire…
A scuola, per decenni, ci hanno raccontato storie interessanti, talvolta curiose ma molto limitate, sul colore, sull’affresco, sulla pittura a olio, sulla  prospettiva, ecc. per fermarci solo all’ambito pittorico in senso stretto. Erano notizie parziali e incomplete. Ci sono volute nozioni ben meno ridotte di geometria e di matematica, e sedimentate a lungo, oltre che di altre scienze (chimica, fisica, anche botanica, e non solo) per capire che quello scenario scolastico era ristretto, un po’ logoro e di sicuro non del tutto efficace, agli effetti di un discorso più completo sull’artista e le sue opere, che implicasse i modelli, le configurazioni, anche – e perché no? – gli stereotipi che costituiscono il corredo concettuale e tecnico su cui un pittore, diciamo, in genere si forma e sul quale via via definisce e sviluppa un proprio stile, un proprio (più o meno) consapevole progetto, o vari progetti di lavoro, che lo portano su una certa strada invece che su altre.
Semplifico, per non perdermi in considerazioni evanescenti. Torniamo a Dürer. Perché, dicevo, mi colpisce in particolare un dipinto come la Festa del  rosario? O meglio: che cosa mi salta di più agli occhi, spesso, vedendo opere come quella? Ecco: mi piace ritrovare, abbastanza ben ‘nascosta’ (ma qui neanche troppo) dall’esecuzione della complessa storia che il pittore racconta, la simmetria, come una delle regole di fondo che lui ha rispettato nel  dipinto. La regolarità nella distribuzione delle figure (e lascio perdere quella dei colori, per evitare di incappare in qualche sciocchezza: ma se fossi meno ignorante in proposito, ci sarebbe da ragionare e parecchio sugli accostamenti di colore, sui loro contrasti, sulle vicinanze/lontananze, sui ‘complementari’, e così via; per non addentrarci nel loro valore sociale, all’epoca e per secoli fortemente marcato da una ideologia ben precisa, in proposito). Mi colpisce,  insomma, il fatto che più guardo un settore della tavola dipinta (un personaggio, un movimento, un gesto, una figura) e più trovo rispondenze, quasi rispecchiamenti nell’altra metà’ del dipinto.
E con ciò? di per sé questo significa e non significa, se non fosse che quello della simmetria è uno dei grandi costituenti, e antichissimo, millenario – si  potrebbe dire -, del dipingere immagini, storie, vicende (e costituente di varie altre arti). Se allarghiamo il campo per prender dentro ‘altre arti’, e perfino la scrittura, ci ritroveremo a fare i conti, in modi simili o analoghi, spesso e tanto con questo elemento strutturale. E magari con tanti altri, di cui, se ci  imbatteremo, parleremo.
Per ora lasciamo qui il discorso troppo generale (e dunque scarsamente utile), e prima di passare ad altro – l’elenco sarebbe lungo, e forse inesauribile – ho in mente, a questo punto, di ricordare, per riferirci a qualcuna delle cosiddette arti minori, l’arte di fare tappeti, per esempio, e soprattutto quella del ricamo, se si ha voglia di ritrovare, e parlare, di simmetria.
Anzi, sempre per evitare di fare considerazioni troppo generiche, stiamo vicini a noi, e proviamo a individuare e mettere in evidenza, se così si può dire, le principali linee di tendenza dell’originale esperienza di ricamo di Giuliana.
In genere, fin dalle sue prime prove di artigiana, o per bisogno o per scelta, lei si è trovata proprio a gestire lavori nei quali la simmetria era un costituente quasi obbligato, o almeno previsto, se non necessario, appunto. E accanto a questo tratto spesso ricorrente, quando ha abbandonato via via l’idea di  ispirarsi a motivi più o meno ricorrenti e risaputi, Giuliana si è trovata a rimodellare buona parte dei suoi riferimenti e, attingendo alle fonti più differenti, che lei conosceva o desiderava avere come ‘giacimenti’ piuttosto vari e consistenti, si è creata dei pattern, potremmo dire, abbastanza riconoscibili. Modelli fortemente stilizzati e piuttosto ‘astratti’, che poco o niente avevano a che fare con una riproduzione più o meno diretta del reale, di oggetti, persone,  figure della sua esperienza, della sua vita.

È un tentativo appena accennato, il mio, di definire il mondo delle figure, dei modelli, dei disegni di Giuliana; ma se volessimo avere qualche ragguaglio in più, basterebbe che accostassimo il suo tipo di ricamo (al di là dei ‘generi’: reticello, punto antico, punto pittura, ecc.) a quello di altre ricamatrici presenti oggi sulla scena (e brave, e ben valutate nel mondo del ricamo), per misurarne la distanza, a volte molto grande: qui bisognerebbe far nomi, per capire bene, ma mi limito a ricordare il ricamo che in prevalenza tende a riprodurre oggetti in qualche modo reali: fiori, frutta, conchiglie, animali, talvolta anche persone (più raramente) o loro ‘parti’, ecc. come se si avesse – absit iniuria verbis (senza offesa, insomma) – la macchina fotografica in azione, per capire  la differenza tra questi due modi di interpretare il ricamo. Anche Giuliana ha ricamato fiori: un suo libro si intitola Herbarium, e altri (libri e kit) hanno il nome ‘fiore’ nel titolo, ma esistono poche, pochissime analogie tra questi suoi fiori e quelli che lei amava raccogliere per la sua cameretta, da ragazza, o avere sul tavolo da pranzo, quasi sempre, per i colori, la loro combinazione (la forma) e il profumo.


Esempio: se si guarda questa piccola serie di bozzetti, si noterà per es. che quello più in basso, a sinistra, ha un breve appunto, vicino, che dice: “5, 1, 2, 6 lanci” (sempre che si riesca a leggere, come è possibile nell’originale). Come a dire che la sua mente, la sua tendenza spontanea, è quella di mettere ‘in forma’ degli spunti, sotto la specie di stimoli a impostare un ricamo; che da lì, in basso a sinistra, può essere proposto in una configurazione meno  precaria come quella di due disegni più sopra, e/o provenire, forse, da quello in basso a destra.

Ma non è detto: tutti questi spunti o bozzetti, se considerati in proprio, possono essere interpretati come ricerca di armonizzare – oltre che appuntare – idee, suggerimenti e occasioni di riflessione e di osservazione, o anche e solo di frulli della fantasia, di ricordi di cose viste e trasferite nella sua mente al lavoro (disegni o dipinti, paesaggi, motivi, quadri di fiori raccolti e seccati, decori, …).
Perciò notavo che Giuliana non ha mai la macchina fotografica sul suo tavolo da lavoro, in nessun modo e in nessun momento. Con questo, senza voler dare io un giudizio di valore, desidero richiamare l’attenzione sulla differenza, spesso grande, tra ricami prodotti (e semplifico brutalmente) da chi… adopera la macchina fotografica e quelli realizzati, in genere, da Giuliana.
Sono due modi molto diversi di fare ricamo, uno di un tipo e uno di un altro.
4 giu 23