2. Aprile è il mese più crudele

Aprile: che sia davvero “il mese più crudele” lo aveva già sperimentato T.S. Eliot (1888-1965) e di sicuro altri prima di lui. Aprile 2009, dai primi giorni in poi, anzi dal 30 marzo: rianimazione all’ospedale di Borgo Roma, direttore prof. Luzzani (anche lui non è più con noi), vice dott. Polato (oggi primario all’ospedale di B. Trento: si è fatto tutto il Covid, di recente).

April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.

[Aprile è il mese più crudele, allevando
lillà dalla terra morta, mescolando
memoria e desiderio, mescolando
radici opache con piogge primaverili.]

Eccolo là: il crudele, che però ti riporta in vita; magari, per sua caratteristica, proprio con i contrasti, con gli ossimori (dichiarano i poeti istruiti), per dirla a parole. Ma ne senti il grasp, la ‘presa furiosa’, la stretta delle dita sul cuore, sui visceri che si autostropicciano all’impazzata. Però sei ancora viva (e tutto sommato lo sono anch’io): questo permette, o addirittura favorisce, il crudele.

Ai primi di aprile 2009 scrivevo: “In questi giorni ho ripreso un libretto, che avevo già letto ma dimenticato (come sempre), di Theodore Zeldin, La conversazione, Sellerio. Ecco, dicevo tra di me ogni tanto, leggendo e condividendo la gran parte di quello che l’autore scrive: Giuliana è persona che conversa, per definizione. Ha un mondo di emozioni, modi di fare, idee, creazioni, disegni, progetti, intenzioni da scambiare, se e quando trova qualche interlocutore, qualcuno con cui conversare, appunto (merce piuttosto rara). E ricordavo anche il piacere che le hanno dato in questi mesi le letture che le ho fatto, soprattutto di Balzac, prima a Ematologia poi anche a casa, da gennaio, a voce alta.

Ne ha intravisto qualcosa anche la Simona, dall’Aquila [l’amica ricamatrice rimasta per ore bloccata e contusa gravemente sotto la casa crollata, nel terremoto di quei giorni], che stamattina ci ha scritto una lettera allegata alla mail, quando scrive così di te: ‘Giuliana è un filo, un filo lunghissimo che avvolge te, Vito e avvolge tutte noi che la stimiamo e amiamo. Un filo che non si rompe, infinito, che indica la strada; Giuliana è l’amore della sua arte e soprattutto è un ricamo della vita’.

Ecco: sei un ricamo della vita. Mi sembra che tu sia proprio questo per tutti noi. Si viene da te o con te per ‘respirare’ … l’ossigeno genuino dell’affetto, della stima, dello sprone, anche quando non sproni, e magari sei tagliente o dura – quelle rare, rarissime volte -, ma mai assolutissimamente cattiva, ostile. Si viene da te per cercare e avere aria, colori, orizzonti, silenzio (mica tanto, ultimamente: ma sempre di ‘silenzio’ si tratta) e pace. Una grande, immensa pace. E sorrisi.

E ora, qui a casa, ci si mette anche il glicine (un ‘correlativo oggettivo’, direbbe Eliot), che finalmente, dopo anni e anni, ora è cresciuto e sta fiorendo, e renderà primaverile il vecchio balcone, decorandolo di geometrie di color indaco, di grappoli profumati (spero). Stamattina ne ha già un paio che cominciano ad aprirsi.”

Questo di oggi, 2023, è un altro aprile: ma Giuliana, nel ricordo delle persone che l’hanno conosciuta e stimata, e non solo come ricamatrice, non è cambiata. Basta anche solo leggere la sua autobiografia (La mia vita col ricamo) per avere conferme su una personalità dai contorni del tutto affidabili e rassicuranti.

9 aprile 2023

Di recente è capitato, per esempio, che mi chiedessi come mai Giuliana aveva illustrato, in un paio di suoi manuali (il vol. 2 e il vol. 10) e nel Calendario 2015, un tipo di punto, il Sorbello, che nessuna delle ricamatrici che si fermavano davanti al tavolo nello stand che avevo allestito sia a Creattiva (Bergamo, marzo 2023) sia a Abilmente (Torino, un paio di settimane dopo) riusciva a riconoscere (in verità una c’è stata, ma è scappata subito). Da non ricamatore mi chiedevo: ma se solo qualcuno o nessuno lo riconosce, perché ne ha parlato nei libri? E continuavo a tenere in vista, tra i ricami esposti sul tavolo, i tessuti sui quali era stato realizzato questo punto, anzi anche il ‘segnalibro’ che avevo predisposto di recente, per chi era interessato ai dati dell’impresa.

Conoscendo Giuliana, però, non demordevo, e alla lunga mi sono detto che lei spesso amava, come ha scritto nel suo autoritratto che compone La mia vita con il ricamo: “Tutta la mia attività si è svolta sempre in rapporto diretto con la mia vita di donna, di madre, di persona curiosa di cercare, stabilire e vivere relazioni, per trovare in ciascuna di queste gli stimoli che sentivo efficaci, per innescare e approfondire conoscenze, per vivere nuove emozioni. Per vivere la bellezza. Meglio sarebbe – aggiunge – usare un verbo francese che mi piace molto, glaner, spigolare, come si faceva un tempo con le spighe di grano rimaste a terra, nel campo, dopo la mietitura. Ecco: ‘spigolare’ è un’azione che sento più mia, connaturata al mio modo di essere e di vivere.”

In una versione del tipo work in progress è anche da ammirare come lavora una sua splendida allieva-amica francese, che arriva a confezionare poi questa meravigliosa pochette, che tante occasioni di collaborazione e di stage per Giuliana ha organizzato soprattutto a Lione, ma anche a Parigi, dentro e fuori l’Aiguille en fête. Una meravigliosa ricamatrice (e persona ‘con i fiocchi’), che si è cimentata con il Sorbello solo in questo caso, mai più in seguito, mi confessa: la pochette l’ha poi regalata a Giuliana con tanta riconoscenza, ed è ora in vista, in tutta la sua bellezza, nel vol. 10 (Hardanger: Fiordaliso e altri fiori).

Che poi glaner, spigolare, fosse azione – parlo di decenni fa, e dunque ripensando ai contesti di allora, alla nostra infanzia e poco dopo – che sottintendeva il nutrirsi, per quanto si era poveri, e più tardi, agli albori del benessere, significasse sempre il nutrimento, ma stavolta sotto forma di becchime per le galline che razzolavano attorno a casa, era il primo e, direi, unico significato di quel verbo, ben noto a chi è vissuto allora: galline che si allevavano spesso perfino nei sobborghi di città, come facevano la mia e numerose altre famiglie a Verona (anni ’50); anzi, si crescevano anche i conigli, quando si poteva accudirli in una loro stia o in una casetta di legno (sopra i conigli e sotto i trespoli per il riposo delle galline), come nel piccolo orto che mio padre ‘curava’ alla perfezione e  dal quale proveniva la maggior parte di verdure, legumi e frutti (oltre che uova, galline e conigli) per il sostentamento di una famiglia con cinque figli.

Il nutrirsi per Giuliana era tuttavia sempre un’invenzione, piccola o grande, perfino allora e in ogni caso, dopo; per lei era una gioia mettersi ai fornelli a cucinare (ancor più se poteva usare il camino, le volte che ne aveva occasione, come a casa dei suoi, in Abruzzo, durante le vacanze, dove il camino tendeva ad essere in funzione ogni giorno, più o meno in ogni stagione), anche con qualche figlio piccolo o con la mamma che le giravano intorno. E a Pasqua di sicuro sul camino c’erano le costolette di agnello … quello del Gran Sasso.

19 Giugno 2023