Ho sempre pensato che il ricamo potesse prendere in pieno una persona, una vita, al punto da condizionarne addirittura alcuni tratti della personalità. Non è pura fantasia, questa mia, e tanto meno presunzione, ma semplice osservazione, che ricavo da molte esperienze personali: di conoscenza della mia storia e di quella di varie amiche e ‘colleghe’ ricamatrici.
Il ricamo per molte persone non è una attività per riempire dei tempi vuoti della giornata, o una sorta di passatempo per partecipare a una mostra di beneficienza, come talvolta si sente dire. Dietro e prima del ricamo – per come lo intendo e lo vivo io – c’è molto, molto altro: studio, interesse, curiosità, applicazione, prove e prove e prove di tenuta del ‘progetto’ che si vuole elaborare e realizzare, confronto, fatica, impegno e precisione, competenza (di tessuti, filati, aghi, colori,…), modestia, misura, sobrietà, …ma anche coraggio e bisogno o desiderio di ‘avventura’ (espressione piuttosto impegnativa, ma non certo fuori luogo per chi vuole davvero farsi prendere e profondamente da questa attività).
Per non divagare con i concetti e le supposizioni, e alimentare così solo parole vuote, mi pare utile raccontare alcuni momenti della mia formazione, professionale e non: chi legge e frequenta il mio sito può così, se vuole, capire meglio quali aspetti e occasioni della vita hanno costituito un passaggio fondamentale perché diventassi, e come, ricamatrice.
Al principio parlerò delle fasi iniziali della mia attività, quando ancora i progetti si confondevano con i desideri, e io non sapevo bene che cosa sarei diventata… da grande. In seguito racconterò di come i desideri, alcuni almeno, siano diventati progetti, appunto: ecco allora il mio laboratorio, poi la scuola, poi ancora l’attività editoriale. Ma una parte importante di ciò che racconterò riguarda le ‘mie vite parallele’, che hanno radici lontane, nell’infanzia e dopo, e che costituiscono il fulcro della mia formazione, senza le quali poco si capirebbe del perché e come sono diventata quello che sono, con i limiti e le caratteristiche che mi definiscono.
Credo di poter dire con serenità che ciascuno deve appropriarsi delle proprie esperienze e della propria storia, per conoscerla, accettarla, intenderne i risvolti significativi, utilizzarne gli aspetti che ritiene più funzionali alla propria crescita, se desidera progettare per sé una vita dignitosa e accettabile. Diversamente, avrei molti dubbi sulla ‘riuscita’ o addirittura sulla ‘accettabilità’ di quello che facciamo e vogliamo realizzare.
Buona lettura.
25 Marzo 2014